Storia delle acciughe salate di Monterosso al Mare- Con ricetta tradizionale di Lusa Martelli perfezionata tra il 1935 e il 1980.

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Storia delle acciughe salate di Monterosso al Mare- Con ricetta tradizionale di Lusa Martelli perfezionata tra il 1935 e il 1980.

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Pubblicato da Lara Castellani in Food · Martedì 02 Feb 2021
Tags: acciughediMonterosso
LE ACCIUGHE SOTTO SALE SECONDO MIA NONNA
(Luisa Martelli classe 1928)

PROFUMI E RUMORI DELLA MIA INFANZIA

Quando ero bambina nel mio paese, un caratteristico borgo marinaro ligure, il tempo e l’alternarsi delle stagioni erano scanditi delle festività religiose popolari, molte delle quali coincidevano con l’inizio o la fine di quei periodi di frenetica operosità generale necessaria per preparare le scorte invernali e le eccedenze da commerciare. Ricordo ancora la fretta delle genti e il viavai dei loro mezzi da lavoro: l’aria era satura dei rumori degli attrezzi in funzione e dei caratteristici odori, ad ogni periodo ne corrispondevano di diversi.
Come in molti altri paesi italiani, anche a Monterosso, si facevano sia la raccolta delle olive per fare l’olio che la vendemmia per ottenere il vino, ma dopo la festa il paese si addormentava e riprendeva vita a primavera con l’inizio della stagione della pesca.
Io discendo per parte di madre da una famiglia di pescatori, ed anche mio padre, spinto dal suocero, tra i vari mestieri ha dovuto imparare a pescare. È per questi motivi che le acciughe sono sempre state molto importanti per la mia famiglia. Io questo pesce lo sento un po’ “mio”, so persino riconoscere se è fresco, se è delle mie parti e se è stato cucinato a dovere.
IO E LE ACCIUGHE
Ho iniziato a maneggiare acciughe da quando ero bambina ed è l’unico salume che saprei preparare. Posso affermare con fierezza che negli anni ho imparato 8 differenti modi per “pulirle”, ma quello per la salagione era il più difficile di tutti. Ricordo che dovevo tenere il pesce con una mano e contemporaneamente, con le dita dell’altra,  afferravo la testa per sfilarla dal corpo assieme a tutte le interiora e senza rovinare il cinto pettorale: c’è voluto tempo per imparare perché una volta le acciughe erano quasi sacre, guai a sciuparle! Per avere il permesso di aiutare gli anziani che salavano bisognava dimostrare buona volontà e attitudine, diversamente era vietato avvicinarsi anche solo per guardare.
Ho dovuto insistere per farmi insegnare! Ricordo che la nonna, china sul lattone da 25 litri in cui salava , mi spiegava, con molta pazienza, quanto erano delicate ed importanti: “sale e acciughe costano molto e le dobbiamo vendere alla gente, non posso farle preparare a te perché non possiamo darle se non sono preparate a dovere!” poi mi dava un mucchietto di acciughe più piccole e diceva: ”tieni pulisci queste che le mangiamo a pranzo ”.
Fu mia mamma ad insegnarmi a pulire le acciughe per salarle, lei era meno pignola della nonna e riteneva che fosse importante per me imparare. La nonna le brontolava sempre e mentre le diceva che era imprecisa, con amore ci correggeva.
LE FAMOSE ACCIUGHE DI MONTEROSSO

Crescendo ho iniziato a girare per la Liguria e mi capitava spesso di sentirmi dire: “Allora tu sei di Monterosso, avete i limoni e le acciughe buone lì!”. Infatti accadeva con frequenza che tra le offerte delle pescherie della riviera si offrissero acciughe di Monterosso”.
Ho sempre pensato che le acciughe del mio paese fossero famose perché rinomate erano le “acciughe salate” che lì si preparavano da sempre. Era cosa risaputa che negli anni ’20 dello scorso secolo, nel piccolo borgo marinaro, venne aperta una salagione ad opera dello spagnolo Joseph Ferrer che, a detta dei paesani, era stato attirato dal buon nome di cui già all'epoca godeva questo eccellente prodotto e rimase colpito dal modo in cui si salava in loco.
Mia nonna invece mi diceva che lei era molto attenta nel salare perché da giovane aveva lavorato nella salagione di Monterosso e aveva imparato delle cose che i suoi vecchi non sapevano. L’azienda venne chiusa negli anni ’50 alla morte di Ferrer, ma nei suoi 30 anni di attività il prodotto acquisì un’importanza notevole sul mercato nazionale e venne esportato persino in Spagna. La Salagione fu molto importante per l’economia locale , infatti durante quegli anni aumentò il numero delle barche da pesca ed è documentato che i pescatori conferivano il pescato alla salagione già pronto per essere salato.
LA PASSIONE DI MIA NONNA LUISA

Ricordo che le “Arbanelle di acciughe” di mia nonna Luisa erano le più care del paese, ma chi le provava tornava da lei l’anno dopo per ricomprarle. Tutti dicevano che le sue erano le più gustose, anche perché nel contenitore metteva più acciughe e quindi meno sale. Quando finalmente si decise ad insegnarmi a posizionare le acciughe e il sale nel contenitore per salare avevo circa 16 anni. Mi fece notare che, a differenza di come facevano gli altri, lei non metteva i pesci sdraiati su un fianco perfettamente orizzontali, ma li sovrapponeva leggermente gli uni sugli altri in modo che rimanessero leggermente inclinati: ogni volta che si completava il “giro” di pesci che componevano uno strato si doveva vedere solo il grigio blu delle schiene e non l’argento delle pance.
Il sale doveva essere marino ma ne troppo grosso, perché gli spigoli dei grani avrebbero lacerato le carni, ne fino, perché si sarebbe sciolto troppo presto. Ovviamente per ogni chilogrammo di acciughe c’era un giusto peso di sale da usare ( circa 250 gr) ma era poco pratico pesarlo ad ogni strato cosi lei mi insegnò che andava dosato in questo modo: due pugni sulle teste e uno sulle code e una volta coperto il “giro” bisognava riuscire a vedere lo scuro delle schiene in trasparenza.
Si salava in lattoni di acciaio nei quali era possibile adagiare circa tre cassette di acciughe, per un totale di 30 kg, le quali venivano coperte da un cerchio di legno, di diametro poco inferiore rispetto al recipiente, sul quale venivano posti dei sassi il cui peso doveva eguagliare quello del pesce sottostante. Dopo 10 giorni il volume della parte solida si riduceva di un terzo e il peso sovrastante andava ridotto di una metà.
Per mia nonna era molto importante impedire che la salamoia, fatta di sangue e sale, attirasse le mosche o sporcasse il pavimento della cantina. Diceva che quell'odore avrebbe impregnato il pavimento e gli insetti sarebbero stati attirati per anni. Così posizionava i contenitori dentro delle baie, che puliva quotidianamente, e li copriva con del telo di nylon.
Negli anni mia nonna e mia mamma hanno dovuto modificare il processo che seguivano per salare, allo scopo di correggere le imperfezioni della materia prima che, oltre a scarseggiare, non arrivava più direttamente dalla barca. Infatti verso gli anni novanta quasi tutti i pescherecci di Monterosso si trasferirono di base o a Livorno o a Piombino, così il pescato locale per tornare nel paese doveva viaggiare via terra e coperto di ghiaccio che via via si scioglieva. Il contatto con l’acqua dolce aveva effetti negativi sulla salamoia naturale e così, prima di iniziare a salare, si rese necessario buttare sul pesce fresco decapitato del sale per far colar via il “primo sangue”. Inoltre al 10° giorno di maturazione nel sale bisognava eliminare il liquido che si formava nei bidoni e sostituirlo con salamoia pulita, una soluzione satura di acqua e sale. La stessa che viene aggiunta nelle arbanelle di vetro dove si confeziona il prodotto finito che ha “maturato” per almeno 40 giorni nei bidoni grandi. Nelle arbanelle il prodotto si conserva per parecchi mesi purché venga completamente coperto da salamoia e tenuto sotto un peso di circa un kg.
IL BORGO E LA PESCA DELL’ACCIUGA
Un tempo si salava a bordo della barca in barili di legno che potevano contenere dagli 80 ai 100 kg di pescato. Un ricordo della mia infanzia sono le lampare che luccicavano nel buio della notte e il rumore dei pescherecci che stendevano le reti in mare, ma nel golfo non si è sempre pescato con questa tecnica.
Fino agli inizi del novecento si pescava con i leudi da pesca: barche a vela di legno lunghe 11,5-12 metri quindi più corte di quelli usate per il trasporto. Con i leudi si potevano raggiungere i porti della Versilia e di Livorno, dove i natanti si appoggiavano per intraprendere la campagna dei 100 giorni. Era chiamata così anche se durava 135 giorni: dal 3 maggio, data della Festività della croce - Croce di maggio, fino al 15 settembre ricorrenza dell’esaltazione della S. Croce - Croce di settembre).
Tra queste due date si effettuavano delle pause con ritorno a casa: una per la festa del patrono di Monterosso ( S. Giovanni Battista ) e una per la festa dell’Assunta ( la Madonna di Soviore ) che si festeggiano ancora oggi ,rispettivamente, il 24 giugno e il 15 settembre. Nella conta non si teneva conto dei 35 giorni che servivano per i vari viaggi di andata e ritorno.
A S.Giovanni i pescatori tornavano per pagare, con i soldi ricavati dal primo pesce venduto, i debiti contratti durante l’inverno (acquisto con il libretto in “crenza”) poi ripartivano verso le coste toscane. Invece dopo la festa della Madonna restavano a pescare nel Golfo.
LE MANATE A CURI
La pesca monterossina aveva la caratteristica di dare acciughe grosse e selezionate, questo grazie all’impiego di reti dotate di maglie grandi dove restavano immagliati solo esemplari da una certa taglia in su (si trattava di 28/32 esemplari per kg).
Ogni leudo per la pesca all'acciuga aveva a bordo 7-9 reti, le “manate a curi”( a scorrere). Queste reti erano di cotone quindi andavano lavate e asciugate alla fine di ogni giornata di pesca e a fine stagione prima asciugarle per riporle nei caratteristici cassoni andavano sciacquate in acqua dolce. Ogni tanto necessitavano di essere cucite e due volte l’anno andavano tinteggiate con del tannino. Di questi lavori se ne occupavano i pescatori stessi o le donne di casa.
Ogni rete era dotata di sugheri, per farla galleggiare in mare, e di piombi sufficienti a tenerla tesa di modo che restasse perpendicolare al fondo del mare e la corrente la potesse trasportare. Ogni manata era lunga 72 metri con un pescaggio di 800 maglie del 21-22 per un’altezza totale di circa 11 metri, servivano 5 segnali per ogni rete.
LA PESCA ALLA LAMPARA
Nel 1926 si iniziò a praticare la pesca con le lampare. Inizialmente era la barca con la lampara accesa che girando attirava il pesce e poi lo trascinava verso le reti che erano state calate in mare. In seguito verrà cambiato il sistema e saranno le reti ad essere calate attorno ai pesci attirati dalla luce della lampara.
La prima lampara fu comperata da un gruppo di pescatori, era alimentata a carburo ma durò una sola estate perché non funzionava bene. Fu poi Ferrer nel 1929 che, con una lampara alimentata a petrolio, ben funzionante, dimostrò la maggior validità di questo tipo di pesca. La pesca alla lampara si diffuse così anche tra i pescatori monterossini che la sospesero solo nei primi anni della seconda guerra mondiale perché vigeva il divieto di accendere luci sul mare. Poi dal 1942 al 45 vennero introdotte delle lampare subacquee alimentate a batteria.
Le lampare della mia infanzia , invece, bruciavano gas ma dopo gli anni settanta hanno lasciato il posto a quelle, tutt’oggi in uso, che funzionano con gruppi elettrogeni.
Mio padre ha praticato questo tipo di pesca e mi ha raccontato che utilizzavano anche tre lampare per volta. Ogni sera il peschereccio usciva dal molo trainando tre lampare a motore(così si chiamano le barche dotate di lampara) più una quarta barca, sempre a motore. Una volta raggiunto il sito della pesca, le lampare si posizionavano a centinaia di metri le une dalle altre, accendevano le luci e attendevano l’arrivo dei pesci. La barca che aveva attirato più pesce restava ferma mentre le altre due vi si dovevano avvicinare e spegnere le luci prima di raggiungerla. A quel punto il peschereccio calava le reti tutt'intorno, intanto la barca senza lampara stava ferma per mantenere l’inizio della rete nel punto di partenza.
Completato il cerchio, il peschereccio issava a bordo la testa della reti e iniziava il recupero tirando per le due estremità. Nel mentre la 4° barca, rimasta libera, si andava ad ancorare al peschereccio per trainarlo nella direzione opposta allo spostamento procurato dall’effetto trainante delle reti in mare. Bisognava impedire che le eliche entrassero in contatto con le reti in risalita. Raggiunta l’ultima porzione della manata il pescato si conferivano a bordo mediante l’uso di selai ( retini ).
In quei momenti le acciughe sbattono tra di loro e perdono quasi tutte le scaglie. Aderenti ai loro corpi ne restano pochissime e ciò rende il loro impiego più pratico rispetto a quello di altri pesci, come le triglie, che vanno squamati prima di essere cucinati.
IL CONTRABBANDO DEL SALE
A Monterosso si praticava la pesca delle acciughe da tempo remoto. Nel 1600, come si può evincere da alcuni documenti conservati nell’archivio comunale, Genova manda a dire all’allora Podestà in Monterosso che in loco si praticava il contrabbando del sale.
Infatti dal paese uscivano più acciughe sotto sale di quelle che si sarebbero potute produrre con i 250gr per kg di pescato concessi dal Monopolio. Il Prefetto informò Genova che ne era al corrente ma non poteva arginare il fenomeno. Nel paese, tutt’oggi, si vocifera che anche lui partecipasse a quel tipo di commercio sottobanco.
Negli anni a venire non ci sono tracce documentate di un eventuale commercio di sale, tuttavia sappiamo che durante la guerra i nostri vecchi, allora bambini, prendevano di nascosto dai soldati tedeschi secchi di acqua di mare per cucinare. Gli zii di mia madre, colti sul fatto, vennero imprigionati come spie con l’accusa di aver fatto segnali alle navi americane, ma si salvarono per intercessione di un confidente tedesco che confermò la loro estraneità ai fatti.
Mio nonno un giorno ci raccontò che in tempo di guerra, quando ormai la nazione era allo sbando, non si trovavano più in commercio alcuni tipi di viveri così cercavano di produrseli “in casa”. Ricordava con affetto quando, da ragazzo, assieme ai suoi fratelli scendeva dietro alla punta del mesco e lì , di nascosto, accendeva il fuoco per arroventare le lamiere di ferro con le quali faceva il sale per l’autoconsumo. Ci spiegò che le lamiere erano tenute inclinate e “prese a secchiate” con acqua di mare e poi percosse con dei bastoni per staccare i cristalli che si formavano.
Grazie a Ferrer e alla sua salagione, nel ‘900 le acciughe salate divennero più importanti del sale. Infatti nei primi anni di attività della salagione ci fu un incremento di barche da pesca nel borgo che, purtroppo, andarono via via diminuendo negli anni cinquanta decretando la fine della produzione “industriale” di acciughe sotto sale nel paese.
Tuttavia il commercio delle arbanelle di acciughe restò vivo grazie alle donne del paese che continuarono, e qualcuna continua ancor oggi, a salare.
LE ACCIUGHE OGGI
Nel 2006 , per riprendere questa tradizione e creare un marchio da commercializzare in tutto il mondo, la cooperativa “le ragazza del parco” ha aperto una salagione nel paese, ma, a causa della scarsità e delle ridotte dimensioni del pescato odierno, ha chiuso i battenti nel 2017. Infatti recenti studi hanno evidenziato come a causa delle micro plastiche presenti nel Mediterraneo le acciughe muoiono “giovani” e non possono raggiungere le dimensioni cui arrivavano in passato.
Questo pesce, chiamato acciuga o alice, appartiene alla famiglia dei pesci azzurri ricchi di grassi insaturi omega 3; ha forma slanciata per una lunghezza che può raggiungere e talvolta superare i 20 cm, hanno il ventre di color argento ma il dorso è grigio scuro e presenta due striature azzurre , una per fianco, che vanno dalla coda alla testa.
La freschezza del pesce si percepisce attraverso: il “rossore” delle branchie , l’occhio lucido e l’intensità delle striature che spariscono con il passare delle ore. Si nutrono di plancton, piccoli crostacei e larve di molluschi.
A partire dagli anni ’90 del ventesimo secolo è stata fatta in Italia una campagna per promuovere il consumo di pesce azzurro. Una signora milanese , che conosco ormai da anni, mi ha raccontato che la sua famiglia veniva in vacanza nello spezzino già da quando lei era bambina, praticamente gli anni del boom economico in Italia. Loro il pesce di mare lo mangiavano solo in vacanza o quando erano malati perché a Milano era commerciato solo da un paio di pescherie e venduto a caro prezzo.
Nel passato in Lombardia si consumava quasi esclusivamente pesce d’acqua dolce e un po’ di quello sotto sale. Poi dopo gli anni settanta arrivò nella città un gran numero di “meridionali”, così nella regione si diffusero il pesce di mare e tutti quei prodotti che erano soliti consumare a casa loro nel meridione.
Oggi grazie a una efficiente rete di trasporti tutto il pescato confluisce nelle grandi città e diventa quasi inutile continuare a produrre le nostre acciughe se non per deliziare il palato di qualche nostalgico intenditore.
CONSIDERAZIONI FINALI
Ho provato a capire se la fama delle acciughe di Monterosso sia ancor oggi meritata, così ho chiesto, a chi dovrebbe essere più ferrato di me sull'argomento, se e perché sono migliori di molte altre prodotte sulla costa del Mediterraneo. Così mi è stato spiegato che le acciughe sono un tipo di pesce che migra durante l’anno. I banchi passano dalle acque più profonde, che frequentano in inverno, a quelle più basse (ma fonde almeno 50 metri) e calde dove si riproducono tra aprile e novembre.
Studi scientifici hanno dimostrato che quando l’acciuga arriva nel golfo delle 5 terre è pronta per rilasciare e fecondare le uova. Quando ciò avviene gli esemplari maschi e le femmine concentrano i grassi rispettivamente nel seme e nelle uova e tutto questo unito alla concentrazione salina dell’acqua nella regione rende le carni dei pesci più adatte ad essere salate.
Ho fatto alcune ricerche in "letteratura" per scoprire se è stati verificato se ciò avviene solo davanti alle coste delle cinque terre, ma altre marche di acciughe sotto sale vantano l’eccellenza del proprio prodotto come frutto di queste peculiarità. Per esempio l’alta ristorazione considera le acciughe pescate nel mare del Cantabrico le più pregiate al mondo. Anche qui, tanto i produttori quanto i grandi chef stellati, asseriscono che le singolari caratteristiche della regione marina, quali la temperatura, la pesca durante il periodo di riproduzione, la profondità e salinità aiutano
a produrre l’acciuga salata perfetta.
Inoltre, bisogna tener conto del fatto che, altre grandi aziende, operanti nel settore da molti decenni, hanno pubblicizzato i loro eccellenti prodotti pescati in varie zone del Mar Mediterraneo. Indubbiamente è stata fatta una grande operazione di marketing per spingere le acciughe più rinomate al mondo e ciò può in parte giustificarne il successo, inoltre le ditte più prestigiose  hanno sempre investito in ricerca e macchinari per sviluppare il processo produttivo e rimanere all'avanguardia. Tutte cose che non sono state fatte dalle “matriarche” monterossine che hanno continuato a salare a mano dal dopoguerra fino ai giorni nostri e hanno sempre venduto la loro piccola produzione grazie al passaparola dei propri clienti.
Posso tranquillamente affermare che in molte parti d’Europa si pesca da secoli in mari con caratteristiche “uniche” simili a quelle descritte sopra e poi si sala. E in molte di queste regioni vi sono ancora delle salagioni. Si tratta di aziende grandi o piccole con una lunga storia alle spalle. Alcune di esse lavorano artigianalmente con piccole produzione, altre sono più importanti, all'avanguardia e famose.
Chi ha conosciuto il lavoro di mia nonna Luisa Martelli ha in mente un gusto e un profumo che non riesce a trovare "fuori da Monterosso". Così , grazie a quel buon nome, tornano a cercare il sapore delle acciughe della nonna  in quelle di mia mamma Olga , erede della sua passione: salare acciughe senza difetti.
COME LE CONSUMIAMO IN CASA MIA
In casa mia le acciughe hanno il profumo dell’aglio e dell’origano e la morbidezza dell’olio delle nostre campagne. Le abbiamo sempre mangiate accompagnate con pane bruschettato e burro cui si aggiungono fette di pomodoro dei nostri orti nella stagione estiva.
Ci piace aggiungere una “champa” ( un filetto ) di acciughe in quasi tutte le preparazioni di mare umide come gli spaghetti ai frutti di mare o alle vongole bianche piuttosto che nelle zuppe di pesce. Col tempo ci siamo evoluti e ora ci piacciono molto anche, aggiunte a fine cottura ,sulle bruschette in abbinamento con le verdure.
I nostri vecchi ci hanno insegnato a scioglierle , senza rosolarle, nel burro o nell'olio con cui condire la pasta.


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