Diritto di tappo

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Diritto di tappo

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Pubblicato da Aureli Tania & Castellani Lara in Food · Mercoledì 30 Ago 2023 ·  5:15
Tags: dirittoditappovinoalristoranteportarsiilvinoalristorantebyob
Diritto di tappo
Un’usanza anglosassone che vuole farsi strada tra le tradizioni ristorative italiane
Da alcuni anni, ogni volta che c’è un periodo di alta inflazione, o oscillazione dei prezzi, torna alla ribalta il termine “diritto di tappo”, ricordo come, qualche anno fa, in una trasmissione televisiva in coda a uno dei principali telegiornali, un personaggio di fama nazionale per l’ineguagliabile eleganza nel vestire e nei modi, informava il pubblico sulla possibilità di risparmiare sul conto al ristorante consumando al tavolo una bevanda portata da casa e gestita in totale autonomia.
Secondo il parere dell’improvvisato esperto, tale comportamento era un “diritto” per il consumatore e per evitare che ciò accadesse era necessario che l’esercente esponesse un cartello in cui specificava che i suoi tavoli erano destinati anche alla somministrazione di bevande; tale esigenza era giustificata asserendo che le licenze A e B (x bar e ristorante) non prevedevano la somministrazione di bevande. Immaginate che sorpresa quando nel 2006 scoprii che sulla licenza del mio bar Ristorante (con obbligo di esposizione al pubblico) c’era già scritto “SOMMINISTRAZIONE DI CIBI E BEVANDE”.
Inutile spiegare quanto spesso e volentieri la disinformazione in televisione la faccia da padrona, mi chiedo però come facciano determinate produzioni a mandare in onda delle informazioni senza verificarne dapprima la veridicità.

Ma che cos’è il diritto di tappo?
Nasce intorno al 1950 tra Inghilterra e negli Stati Uniti dove viene denominata BYOB (bring your own bottle) e consiste nel portare nel proprio ristorante di fiducia una bottiglia di vino personale, magari proveniente dalla propria cantina, e di corrispondere al ristoratore un “corkage fee”, cioè una tassa sul servizio.
In parole povere, il cliente paga il cosiddetto “coperto” per poter gustare il proprio vino mentre assapora i piatti preparati dal suo chef di fiducia.Il costo varia dai 5/8 euro a persona per bottiglia richiesti in Italia a 15\20 dollari negli Stati Uniti.
Australia Canada e Francia, guidate dalla forte influenza anglofona, ne hanno recepito alcune regole, trovando la loro maniera di applicarla. I francesi hanno infatti creato nel 2006 il club en ville, un’associazione alla quale hanno aderito migliaia di ristorati, e che prevede, dietro il versamento di una quota associativa annuale di 65 euro di poter usufruire del servizio Byob presso i ristoranti aderenti.
Da noi però, ha fatto fatica a prendere piede, infatti prima degli anni 2000 era una pratica pressoché sconosciuta alla totalità della popolazione.
C’è da dire che la nostra cultura gastronomica e l’insieme di tradizioni e consuetudini è di gran lunga più incisivo rispetto al resto dei paesi. Le normative fiscali e il Regolamento Europeo 178/2002 (Reg. 178/02) parlano chiaro e i ristoratori rischiano di trovarsi di fronte ad una serie di contraddizioni a voler applicare nel proprio ristorante il Byob.

In generale un esercente può scegliere di agire come preferisce, va tutto bene sino a quando non scattano dei controlli o non succede qualcosa. Non va mai dimenticato che l’imprenditore è sempre responsabile sul piano civile e penale di ciò che somministra nella propria attività, ma se tutto è stato fatto a norma di legge può dimostrare la sua buona fede ed innocenza nonchè rivalersi sui fornitori.
In primo luogo tutto ciò che viene servito dovrebbe essere scontrinato, quindi se esce in qualche modo deve essere entrato: o con fattura da fornitore o con autofattura.
L’autofattura è un documento che emette l’esercente quando compra da soggetto autorizzato alla vendita ma non munito di partita IVA (anche privati, per esempio acquisto di frutti selvatici da soggetto privato che ha pagato la concessione governativa per la raccolta del bene).
Normalmente un ristorante sceglie di rifornire la propria cantina con i vini più adatti per l’abbinamento con i piatti in carta, e può rifornirsi con qualsiasi vino in commercio quindi diventa difficile a tutti i livelli giustificare la necessità per il cliente di doversi portare da casa un vino di “etichetta” reperibile in commercio.

Bisogna sapere che se il locale scegliesse di applicare un prezzo fisso dovrebbe chiedere al cliente di portare con sé lo scontrino per dimostrare che l'acquisto del vino è avvenuto in altro esercizio a tutela di entrambe le parti in caso di controllo della guardia di finanza all'uscita dal locale. Purtroppo però in questo caso non c'è modo di tutelare la gestione che in caso di verifica fiscale potrebbe trovarsi a discutere e dove giustificare perché non ha utilizzato la pratica dell’autofattura anziché il “diritto di tappo”.
In un’attività commerciale possono essere venduti e somministrati solo cibi e bevande prodotti o trasformati rispettando le normative in materia d’igiene ed etichettatura atte a garantirne la rintracciabilità, quindi una bevanda prodotta da un privato cittadino a livello “domestico” (in deroga alle normative) non può in nessun caso essere servita in un locale pubblico.
In conclusione si va in un ristorante per consumare i cibi e le bevande proposte da chi si occupa dell’organizzazione dell’attività stessa. Il menù o carta è la lista dei prodotti tra i quali bisogna scegliere (quelli in vendita) e oltre agli allergeni ci indica il prezzo finito del bene che ci verrà somministrato, ordinando un piatto o una bevanda ci si impegna a pagarne il prezzo (quello che esposto sul menu) mentre il ristoratore si impegna a preparare e servire ciò che gli è stato ordinato.
Soprattutto negli ultimi anni, anche i ristoranti non di livello si sono dedicati alla creazione di cantine studiate appositamente per il tipo di clientela e piatti proposti, va da se che questa pratica non venga vista di buon occhio dai ristoratori. Rimane quindi una pratica relegata a piccole e poche occasioni, verso i ristoratori di fiducia e magari per delle grandi occasioni, per la quale è bene prendere precedentemente accordi e della quale non bisogna abusare.




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